A memoria d'uomo da sempre in Valgrisenche si lavora al telaio.
Jean Sulpice Frassy

Difficile, o forse impossibile, è risalire a una data precisa che segni l’inizio dell’attività dei tisserand in Valgrisenche.
Le testimonianze raccolte raccontano che questo mestiere ha da sempre contraddistinto i Vagrezèn per secoli.
Fino alla metà del Novecento, quasi ogni famiglia possedeva pecore, e la loro lana era la materia prima per il drap: un tessuto caldo, resistente, indispensabile per affrontare i lunghi inverni valdostani.
La produzione iniziava con la lana di pecore locali, cardata, filata e lavorata con maestria al telaio.
Era un lavoro corale, che coinvolgeva l’intera famiglia.
I bambini, prima di andare a scuola, preparavano con cura le spoline, riempiendole di filo pronto per il telaio. Gli adulti dividevano le giornate tra la tessitura e il lavoro nei campi, in un equilibrio scandito dalle stagioni e dalle necessità della montagna.
Quando arrivava la fine della settimana, e se le strade lo permettevano, il drap veniva caricato sul dorso dei muli e portato a valle, dove attendevano i compratori.
Il drap conservava i colori naturali della lana, bianco, grigio, nero, oppure la tinta tanet, un bruno chiaro.
I decori erano geometrici: righe e quadri di varia grandezza, semplici e funzionali.


Negli anni Cinquanta la tessitura cessò quasi del tutto.
Lo spopolamento dovuto ai conflitti mondiali e la costruzione della diga di Beauregard, che sommerse parzialmente o completamente sette villaggi, ridussero drasticamente il numero dei tisserand.
Tra i villaggi perduti c’era Fornet, oggi simbolo di un patrimonio umano e materiale spezzato.
Con la partenza forzata, molte famiglie lasciarono dietro di sé case, campi e oggetti, portando via soltanto ciò che potevano stringere tra le mani o nascondere in una valigia.


È in questo contesto che nasce una delle memorie più commoventi: quella di Natalia, che al momento di lasciare il suo villaggio decise di portare con sé un gomitolo di lana filata a mano. Per proteggerlo, lo ripose in un barattolo di Nutella, trasformandolo in un piccolo scrigno di affetto e resistenza.
Non era solo un filo di lana, ma il filo invisibile che la legava alla sua casa, alle giornate di lavoro al telaio, alla voce della comunità. Quel gomitolo, sopravvissuto allo sgombero e al tempo, è oggi inciso nella memoria di Valgrezèn come gomitolo con parole intrecciate, quelle di Natalia, simbolo della continuità tra materia e racconto.


In quegli anni difficili, quando la tradizione sembrava destinata a svanire, rimase un solo tessitore: Sulpice Frassy, figlio dell’ultimo tisserand attivo, Joseph Julien Frassy.
Cresciuto tra telai, gomitoli e storie di lana, Sulpice custodiva non solo la tecnica del drap, ma l’intero patrimonio di gesti e conoscenze che lo accompagnava. Con una dedizione silenziosa, continuò a tessere anche quando le voci dei telai si erano spente in tutta la valle.
Fu grazie al suo impegno e alla sua ostinazione se l’arte del drap non andò perduta.
Tra il 1966 e il 1969, sostenuto dall’amministrazione regionale e comunale, Sulpice organizzò e condusse corsi di tessitura, trasmettendo a nuove mani ciò che per secoli era stato il cuore della Valgrisenche.
Quei corsi non furono soltanto lezioni tecniche, ma momenti di ricostruzione identitaria: attorno ai telai si ricominciò a parlare di lana, di colori, di disegni e di come, un tempo, la comunità intera partecipasse alla produzione.
Da quella rinascita nacque la cooperativa Draps, poi diventata Les Tisserands, che ancora oggi custodisce e rinnova la tradizione.
E così, grazie a Sulpice, la tessitura del drap è sopravvissuta a guerre, emigrazione e alla ferita profonda della diga, rimanendo un filo vivo che ancora lega la valle alla sua memoria.


Elemento chiave della rinascita tessile fu la pecora Rosset, razza locale quasi estinta, riconoscibile per le macchie rossiccio-nere su occhi, muso, orecchie e arti.
Nel 2001 l’Association Régionale des Éleveurs Valdotains (AREV) avviò un progetto di salvaguardia, creando una microfiliera tra allevamento e artigianato: la lana veniva tosata due volte l’anno (in autunno, dopo l’alpeggio, e in primavera, preferibilmente in luna dura), poi inviata alla filatura di Chantemerle Saint-Chaffrey in Francia e infine lavorata da Les Tisserands.
Oggi la lana Rosset è un bene prezioso: ruvida, resistente, carica di memoria, è la stessa che riveste e struttura Valgrezèn, trasformando l’opera in un ponte vivo tra passato e presente.

Pecore Rosset
Tra gli strumenti tradizionali della Valgrisenche c’è il tacaleun: un piccolo pezzo di legno con due fori, tenuto in mano per fare i gomitoli.
Il filo scorre attraverso i fori evitando tagli e bruciature alle dita, un esempio di semplicità funzionale affinata nel tempo.


Ogni laseratura di Vagrezèn attraversa il tessuto come un filo di luce, incidendo nella materia le tracce di una storia che unisce luoghi, volti e memorie, e che continua a vivere nello sguardo di chi la osserva.