Vagrezèn
2025, installation, 100% virgin wool, 100% non-woven geotextile, wool yarns dyed with Gallium verum, Rumex alpinus, Vaccinium myrtillus, Verbascum thapsus, 100% recycled polyester rope
Vagrezèn ha preso forma nel cuore della Valgrisenche: un’opera tessile che attraversa il paesaggio, ne interpreta l’identità profonda e ne custodisce la memoria. Ispirata alla forma archetipica della trapunta – simbolo di protezione, cura e calore domestico – l’opera ne conserva la funzione primaria, ma ne dilata la scala e ne amplia il significato. Da oggetto intimo e domestico, la trapunta diventa un grande corpo architettonico, la cui forma richiama una culla e una yurta. La culla non è solo un contenitore: è spazio di protezione, cura e accoglienza, dove chi entra è avvolto dalla memoria della valle, dalle fibre della lana Rosset, dai frammenti tessili che raccolgono storie di villaggi, pascoli e comunità.
La yurta, invece, porta con sé la dimensione della comunità e della condivisione: struttura tessile sospesa, resistente e flessibile, che permette al corpo di muoversi, di guardare fuori, di incontrare altri, senza separazioni o gerarchie.
La costruzione si fonda esclusivamente su materiali di recupero, raccolti nel territorio e impregnati di memoria culturale e affettiva. La lana Rosset, proveniente da una razza ovina autoctona prossima all’estinzione, diventa la memoria animale della montagna: fibra ruvida e resistente, segnata dal pascolo, dalla transumanza, ma anche dal ritorno e dalla riscoperta. I tessuti grezzi dei tisserands locali, eredi della tradizione del drap, raccontano una cultura del fare lenta e profonda. Sono trama di un sapere intergenerazionale, memoria delle mani che hanno tessuto protezione per generazioni. Il tessuto non tessuto lavato biodegradabile, materiale tecnico impiegato per rallentare lo scioglimento dei ghiacciai alpini, riveste l’opera all’esterno. La sua presenza richiama l’effetto albedo, la capacità delle superfici chiare di riflettere la luce solare e contribuire alla mitigazione del riscaldamento climatico. È una pelle che insieme protegge e denuncia.
Su questa superficie chiara e ruvida affiorano i nomi incisi dei villaggi della Valgrisenche: Planaval, Revers, Ceré, Prariond, La Béthaz, La Frassy, Planté, Chez Carral, Darbelley, Gerbelle, Capoluogo, Mondanges, Bonne, Menthieu, Usellières. Non semplici toponimi, ma tracce di comunità, voci sedimentate nel paesaggio. Inciderli nel tessuto equivale a riconoscere il valore politico della memoria locale, così come l’incisione delle piante appartenenti alla flora autoctona restituisce la mappa identitaria della natura di questi luoghi, intrecciando memoria umana e memoria naturale in un unico tessuto simbolico.
L’interno di Vagrezèn, rivestito di frammenti tessili nelle tonalità naturali - panna, grigio, marrone - è uno spazio intimo e accogliente. Qui la lana non solo avvolge, ma racconta. Sulle superfici, incisioni laser trasformano la materia in narrazione collettiva: emergono immagini e parole - la storia della valle. Fornet, villaggio abbandonato e memoria viva dello spopolamento; un mulo carico di drap, emblema del lavoro e della fatica che collega le valli; un gomitolo accompagnato da una scritta, simbolo della parola intrecciata alla fibra; un tacaleun, antico strumento per filare, memoria di un gesto lento che trasforma la lana in filo; una pecora Rosset, figura silenziosa della coabitazione tra umano e animale; la firma di Sulpice Frassy, intellettuale contadino e custode della tradizione tessile, il cui gesto si è fatto azione politica.
Al centro dell’opera si impone l’immagine della diga di Beauregard, monumento della modernità idroelettrica e simbolo di una frattura storica. La sua costruzione determinò l’allagamento di parte della valle e l’abbandono forzato di villaggi, pascoli e memorie. Quest’immagine non è soltanto incisa, ma anche ricamata a mano con fili tinti naturalmente grazie a piante spontanee alpine: Gallium verum, Rumex alpinus, Vaccinium myrtillus, Verbascum thapsus.
È un gesto artigianale e riparatore, che ricuce la ferita senza cancellarla, trasformando la denuncia in memoria attiva.
In questo incontro tra il drap, custode delle storie e delle pratiche del passato, e il geotessile, presidio tecnologico del presente, l’opera si fa ponte tra tradizione e innovazione, restituendo l’immagine di un territorio che resiste e si rinnova.
In Vagrezèn nulla è celato: ogni cucitura è visibile, dichiarata, esposta. Le giunture non vengono occultate, ma si mostrano come linee di tensione, come faglie emotive e temporali.
Il filo non è soltanto mezzo di unione, ma testimone di una storia che continua a reggersi anche attraverso le sue fratture. Un’opera che ricuce, dunque, che ricompone materia e memoria, paesaggio e racconto, gesto e tempo. È uno spazio che accoglie e protegge, senza dimenticare.
Tutto ciò che sembrava destinato a scomparire, trova qui una nuova forma di permanenza: uno spazio da toccare, abitare, ricordare.
L’opera è installata a terra e sospesa mediante corde da arrampicata, elementi tecnici provenienti dal mondo della montagna. Questo dispositivo non ha soltanto funzione strutturale: è legame diretto con il territorio, richiamo alla sua verticalità, al corpo che ascende, al corpo che sostiene.
La sospensione diventa immagine concreta di una tensione tra gravità e leggerezza, tra il peso della memoria e il desiderio di resistenza, richiamando ancora una volta la dimensione protettiva e accogliente della culla e della yurta.
Art project supported by Les Tisserands, soc. cooperative






